Scuola di Formazione Psicosociale ad Orientamento Analitico-Transazionale Psicodinamico

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Il significato culturale del termine counselling

Il significato culturale del termine counselling

Il counselling come attività sorge agli inizi del ‘900 sia come counselling orientativo sia come counselling pastorale; ma è negli anni ’60 che si diffonde ad opera di Carl Rogers.

Egli fondò il primo Counseling Center presso l’Università di Chicago erogando, nel primo anno di attività, più di quattromila sedute e, anni dopo, il volume dei servizi erogati era salito a più di undicimila sedute annue. (Zucconi, 2007)

Rogers utilizzò il termine counseling come espediente per svolgere attività psicoterapeutica, attività non permessa agli psicologi in quel periodo storico; grazie all’attività di Rogers e dei suoi collaboratori fu permesso agli psicologi di svolgere la psicoterapia.

L’attività di Rogers permise ad una larga fascia di popolazione di accedere ad un servizio, la psicoterapia, denominato counselling, sino ad allora riservato alle classi medio-alte; la psicoanalisi era sino ad allora l’unica forma di psicoterapia ed era rivolta alla classe borghese. Negli USA gli psicologi non solo non potevano svolgere la psicoterapia ma non potevano accedere alle scuole di psicoanalisi; ciò sarà permesso solo alla fine degli anni ’80 e dopo un processo legale.

La diffusione del counselling porta con sé, come testimoniato da Rogers, il bisogno di “cura di sé” inteso come bisogno esistenziale, quindi umano, di avere uno spazio per poter riflettere, in alcuni momenti della propria vita, su se stessi per chiarire, dare senso, ad un disagio che non può essere racchiuso nella dicotomia “malato/sano”.

Dopo Rogers counsellor e psicoterapeuti di fatto avevano la stessa formazione, solo successivamente, quando è entrata in vigore la legge 1989, sono state fatte le dovute distinzioni. Ma questo è un processo che necessita di tempo. Rendiamoci conto che è necessaria un’azione di rettifica culturale e professionale che necessita di tempo e di spazio per farlo.

Il filosofo francese M. Foucault ci ha mostrato come la medicina abbia travestito la dicotomia religiosa peccatore/santo in quella di malato/sano. Il problema non sta nel creare delle categorie, perché esse ci servono per comprendere; in medicina come in altri ambiti, ci è utile definire il problema per poter individuare delle soluzioni, ma è l’uso che ne facciamo che diviene problematico, è il significato che ad esso viene attribuito.

Il termine counselling assume così il significato di uno spazio in cui posso dire che ho dei bisogni evolutivi senza sentirmi etichettato come “malato”; avere dei bisogni, vivere un momento di disagio è umano e umanizzante, insomma è “normale”.

La parola counselling appare assumere così un significato simbolico; significa riportare il naturale bisogno di evolvere all’interno della normalità. Nella nostra cultura greca, il prendersi cura si sé era normale e auspicabile; si studiava, ci si prendeva cura del corpo e dell’anima in diversi modi. Oggi prendersi cura di sé non è più un valore condiviso ma il suo bisogno emerge in varie forme; una di esse è il counselling.

Io credo che sia importante cogliere dietro l’esplosione del fenomeno del counselling la richiesta di uno spazio non “etichettato” di sviluppo umano. Al contempo si insinua al suo interno il rischio di trovare così una via breve al cambiamento e alla conoscenza di sé.

Ho osservato nella mia esperienza che molti usano il counselling, da entrambe le parti, cioè dalla parte di chi chiede aiuto e di chi lo eroga, come spazio illusorio, spesso ammantato di spiritualità, per evitare di affrontare la realtà e la verità della propria storia. Ed è in queste realtà che spesso si ri-creano le antiche dinamiche (Bambino-Genitore) dalle quali invece ci si vorrebbe emancipare. Il counselling così corre il rischio di diventare, anziché un’attività tesa a migliorare le relazioni sociali degli individui e dei gruppi, uno spazio per non evolvere avendo l’illusione di farlo.

L’attuale cultura del fast-food potrebbe in maniera sottile penetrare nelle relazioni d’aiuto e diventare, anziché motore per il cambiamento la sua zavorra.

Mi sembra utile cogliere il bisogno sotteso al fenomeno del counselling e condurlo all’interno dei confini che gli sono propri. Il termine counselling sembra esprimere attualmente una richiesta di aiuto da parte di una società che è a disagio e che non riesce a costruire uno spazio adeguato in cui potersi fermare per sentire e riflettere e così riprendere il proprio cammino.

di Antonino M. Raneri

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